Offiziolo di Guillebert di Metz

Offiziolo di Guillebert de Metz

Officium Beatae Mariae Virginis del Maestro Guillebert de Metz

ms. 1138

Bologna, Biblioteca Universitaria

Tiratura limitata

Tiratura esaurita per l’estero

  • Formato cm 18,5 x 13
  • 300 carte
  • Stampa fine art
  • Applicazione dell’oro in lamina
  • Carta pergamena trattata a mano
  • Incassatura su carta antica
  • Cucitura artigianale su corde
  • Legatura in pelle con fregi in oro a caldo
  • Taglio in oro

Questo libro d’ore di straordinaria bellezza fu scritto certamente per una ricca dama, forse di nome Barbara, moglie di un nobile della corte di Filippo il Buono insignito del Toson d’Oro, istituito proprio da quel sovrano nel 1430.

Il suo pregio maggiore, secondo Caterina Limentani Virdis, consiste nell’indiscussa unitarietà stilistica e decorativa, che non conosce scadimenti e stanchezze: infatti, tolte tre sole carte (cc. 76, 265v e 272v), opera di un collaboratore meno brillante, probabilmente appartenente al centro miniaturistico di Mons, il codice rappresenta una delle creazioni più alte del Maestro del Guillebert di Metz.

Con questo nome si allude a un miniatore specializzato in libri d’ore, attivo attorno al 1410-40 nel sud delle Fiandre, identificato per la prima volta con questo nome dal copista del codice del Decamerone conservato alla Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi (ms. 5070) e che, per l’uso frequente della foglia d’argento, fu detto anche “Maestro dei cieli argentei”: per ammissione di tutti gli studiosi di storia della miniatura il nostro libro d’ore è senz’altro uno dei suoi più splendidi capolavori.

La decorazione, profusa a piene mani in ogni angolo del manoscritto, comprende infatti ben ventitré grandi miniature raffiguranti episodi della vita di Cristo e della Vergine e anche di alcuni santi, tra i quali spicca Barbara, forse omonima dell’aristocratica committente; nel calendario, invece, prevalgono i santi della diocesi di Utrecht.

Non si contano le iniziali ornate, le cornici e i fregi, dalle caratteristiche foglie d’acanto interrotte da foglie d’edera e da grottesche e scenette con figure umane e di animali, il tutto reso con un uso fresco e luminoso del colore, rischiarato dai bagliori dell’oro e dell’argento.

Come si legge su di un frammento del foglio di guardia originale, il codice fu donato dal conte bresciano Durante Duranti (1718-1780), poeta imitatore del Parini, “al valoroso Padre Abate Trombelli”, che poi lo cedette alla Biblioteca del Convento del SS. Salvatore, nel cui catalogo settecentesco figura con il numero 780.

Secondo il Frati, il codice sarebbe stato donato al Duranti dal re Carlo Emanuele III di Savoia nel 1755 per ringraziarlo della dedica delle sue rime.

Nella Biblioteca del SS. Salvatore il manoscritto rimase fino al 1796; poi, dopo l’avventura napoleonica e il soggiorno in Francia, nel 1828 fu donato dai Canonici all’allora Biblioteca Pontificia, insieme al Codice di Lattanzio e al ms. 1554 come ricompensa per la custodia fatta dei loro preziosi manoscritti.