Codice 9
Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile
Tiratura limitata
- Secolo XIV (seconda metà)
- Formato cm 25,6 x 37,6
- 167 carte
- Stampa fine art
- Applicazione dell’oro in lamina
- Carta pergamena trattata a mano per il raggiungimento dello stato ottimale di invecchiamento
- Legatura eseguita artigianalmente
- Cucitura a mano
- Incassatura su carta antica
- Coperta in pelle con impressione a secco
Il manoscritto contiene copia della Divina Commedia di Dante Alighieri (cc. 1r-162v), e dei brevi testi di Jacopo Alighieri (cc. 163rA-vB) e Bosone da Gubbio (cc. 163vB-164vB).
Il codice entrò nella Biblioteca del Seminario grazie all’acquisto nel 1720 da parte del bibliotecario Francesco Canaldella raccolta libraria del conte padovano Alfonso Alvarotti. Questi lasciò una nota nel codice (c. Ir) in cui afferma di averlo ricevuto in dono dal conte Andrea Cittadella nel 1717.
L’opera è profusamente miniata, ed in particolare si segnalano i tre frontespizi corrispondenti all’inizio delle tre cantiche, che presentano iniziali istoriate e ricchi fregi. La restante parte delle decorazioni abbellisce le iniziali del testo con elementi fogliacei, non di rado accompagnati da drolerie di spiccata vivacità.
La decorazione e la collocazione geografica del centro di produzione del codice ha finora fatto propendere la critica per una possibile provenienza umbra, e per una datazione alla seconda metà del XIV secolo.
In effetti, parte del lettering evidenzia una derivazione dalle pratiche compositive presenti nel contesto perugino, come anche alcune figure presenti nei tre frontespizi. Tuttavia, il contesto umbro non sembra spiegare in toto la facies decorativa dell’opera.
Vi è una possibilità che la ragione dell’indeterminatezza che ammanta la collocazione geografica del codice sia dovuta all’ancor scarsa conoscenza della miniatura marchigiana, che potrebbe spiegare uno stile che non è certamente toscano, né emiliano-romagnolo, e che non pare essere riconducibile ad un contesto meridionale. Vi è un possibile indizio in questo senso.
La ricerca in essere contestuale alla realizzazione del commentario al facsimile potrebbe riuscire a dimostrare la responsabilità della committenza originaria del manoscritto nella figura di Michelino della Stacciola, che nel 1372 fu costretto a cedere il suo feudo marchigiano a Galeazzo Malatesta, e che nel 1380 fu podestà di Gubbio, che pochi anni dopo sarebbe stato inglobato nei domini del Montefeltro. Il work in progress cercherà di stabilire se questa pista è perseguibile o meno.