ms. Italien 2017
Parigi, Bibliothèque Nationale de France
ms. 76
Imola, Biblioteca Comunale
Tiratura limitata
- Formato cm 21,5×32
- 395 carte
- Stampa fine art
- Applicazione della foglia d’oro a mano
- Carta pergamena trattata a mano per il raggiungimento dello stato ottimale di invecchiamento
- Legatura eseguita artigianalmente
- Cucitura a mano
- Incassatura su carta antica
L’Inferno (ms. 76) è una delle copie medievali del capolavoro dantesco più riccamente decorate, eseguita per il duca di Milano Filippo Maria Visconti. Essa è tra le più belle opere del “Maestro delle Vitae Imperatorum”, miniatore di grande prestigio nell’Italia settentrionale della prima metà del Quattrocento. Il codice è attualmente diviso tra la Bibliothèque nationale de France, che ne conserva la maggior parte, con 59 immagini (ms. Italien 2017), e la Biblioteca di Imola che ne conserva 21 fogli con 13 miniature.
Il “Maestro delle Vitae Imperatorum”, artista di fiducia della corte milanese, deriva il suo nome convenzionale da un manoscritto, anch’esso conservato a Parigi (ms. italien 131), contenente le Vitae di Svetonio nella trascrizione in volgare di Pietro Candido Decembrio del 1431. Le coordinate stilistiche dell’artista derivano dal raffinato ambito artistico lombardo dell’ultimo quarto del Trecento dominato da Giovannino de’ Grassi e Michelino da Besozzo, e sono caratterizzate dalla linea sinuosa e ondeggiante e dalle scelte cromatiche ora coprenti, ora delicatamente trattate per velature, ora definite per puntinature. A questi riferimenti si sommano quelli dai toni più espressivi del giovane Belbello da Pavia con cui probabilmente collaborò, e forse del “Maestro di Murano”. Si tratta di uno stile perfettamente aggiornato sulle più alte lezioni del tardogotico europeo, testimoniato nel codice dalla preziosità delle vesti ed esemplificato da alcuni elementi lessicali quali le foglioline lanceolate e i fregi a tralci spinosi, direttamente derivati dalla decorazione libraria di moda in quel tempo in Francia.
Non tutte le copie miniate dell’Inferno si spingono a illustrare così tanti episodi del racconto, tre o quattro per canto, come accade nel codice qui esposto, limitandosi nella maggior parte dei casi a poche scene inserite nelle iniziali di cantica. Non è escluso che Guiniforte Barzizza stesso abbia avuto un qualche ruolo nella predisposizione dell’impegnativo programma illustrativo: il codice Parigi-Imola era originariamente ornato da oltre 115 scene, di cui ne rimangono oggi settantadue.
La storia collezionistica del codice è straordinaria. Dalla celebre libreria visconteo-sforzesca a Pavia, che lo conservava ancora nel 1469, alla discesa dei Francesi in Italia sul finire del secolo, il manoscritto passò nelle mani di re Luigi XII. Fu forse il sovrano di Francia a offrirlo poco tempo dopo a Giovanni Caracciolo duca di Melfi, come ricompensa dei servizi resi alla corona. L’opera passò poi al genero di Caracciolo Antoine de Cardaillac e in seguito ai suoi eredi. Nel 1835 venne recuperato in un castello della Dordogna dall’erudito Gaston de Flotte, che lo acquistò e lo portò a Marsiglia. Tra il 1836 e il 1837 egli prese accordi con l’esule imolese Giuseppe Zaccheroni per pubblicarne il testo ancora inedito. Zaccheroni, esule in Francia dopo i moti del 1831, realizzò l’edizione critica del testo contenuto nel codice, che pubblicò nel 1838. Rientrato in Italia fu eletto deputato nel 1865 nel collegio di Imola. Nel 1866 Zaccheroni destinò alla biblioteca della sua città una copia dell’edizione dell’Inferno da lui curata, che arricchì, inserendovi tra le pagine stampate fogli manoscritti del codice in suo possesso. La restante parte del codice visconteo fu venduta nel 1887 dagli eredi di de Flotte alla Bibliothèque
Nationale de France dove è tuttora conservata.